Un rifiuto forte e chiaro: la disabilità non si privatizza!
Reco solo il link http://www.superando.it/index.php?option=content&task=view&id=9136 e vi prego di andare a leggere per capire queste note di commento.
A partire dal titolo di questo post, desidero solo affermare che la logica per cui lo Stato deve corrispondere un'indennità a chi è disabile e il privato sociale non può integrare quanto lo Stato non riesce a fare è una ragionamento, per chi scrive, che deve essere ribaltato a partire da come il piano di zona è attualmente concepito.
Lo Stato e con esso lo strumento programmatico del pubblico sociale, qual'è il piano di zona è deficitario perché pone i suoi interventi a pioggia, con mille rivoli, corrispondenti a mille interessi, senza attuare compiutamente alcuna prestazione sociale, con controlli Isee, che nella maggior parte delle Regioni, non vi sono e laddove ci sono non sono posti alla verifica dell'efficacia e dell'efficienza della prestazione sociale svolta e prima dell'erogazione della stessa, non vi sono controlli a tappeto sulla meritevolezza.
Il modello va quindi rovesciato e non per ragioni di scarsità di fondi.
La meritevolezza della prestazione dev'essere basata nella valutazione caso per caso (valutazione discrezionale nell'attività amministrativa, qual'è quella dei servizi sociali) delle condizioni familiari, del reddito e del patrimonio, anche della famiglia allargata.
Il ragionamento deve essere quindi ribaltato: il privato sociale - più del pubblico sociale - conosce i bisogni di integrazione sociale e sanitaria presenti sul territorio. Certo può conoscerli solo settorialmente, ma è calata nella realtà.
E' quindi il privato sociale che costruisce il piano di zona assieme al pubblico sociale, il quale non lo gestisce, in quanto non ha gli strumenti aziendalistici di valutazione della performance e se li ha non possiede la mentalità per farlo.
Il pubblico sociale per non tamponare le emergenze e trattare solo e solamente quelle, deve integrarsi e non essere parallelo al privato sociale.
E' anche una questione personale. Trapiantato il 12.8.2010, dopo oltre quattro anni di dialisi, ho constatato che - almeno in questo specifico settore - il mondo del pubblico sanitario e sociale si integra con quello del privato sociale, ad esempio nel trasporto in andata e ritorno dei dializzati.
Non ne ho mai usufruito, abitando vicino al centro dialisi (neppure durante le trasferte lavorative), ma so che è una buona integrazione, con la croce rossa, organizzazioni di volontariato e cooperative di promozione sociale.
Quanto costerebbe un'analoga struttura pubblica?
Quanto costa realmente una struttura del privato sociale, strutturata nel volontariato o in cooperative di promozione sociale?
Quale risparmio c'è o vi sarebbe?
Pertanto le lamentele che avete letto nell'articolo linkato, a mio modo sono frutto di una cattiva coscienza di chi concepisce lo Stato come mamma e dove non vi è più il cittadino, ma il suddito.
Se così fosse, avrebbero ragione i Monti e i Tremonti che concepiscono il cittadino quale suddito che deve essere torchiato, concependosi quasi come sceriffo di Nottingham, che pensa che il suddito abbia sempre qualcosa da nascondere e quindi va controllato in ogni minimo movimento, sopratutto di denaro?
Chiaramente sono nella stessa posizione della scuola economica austriaca di von Mises e von Hayek, della scuola di Chicago del "nessun pasto è gratis" di Milton Friedmann e per alcuni aspetti mi piace anche il pensiero di Ichino.